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Design Thinking: una storia di applicazione

Pubblicato il 14/04/2020

Contesto e concetti base di Design Thinking

Con il passare degli anni, il concetto di design sta acquisendo interesse in molteplici campi, differenti da quello che ne ha decretato la nascita: l’utilizzo della sensibilità del designer in grado di captare elementi del mondo circostante che all’occhio non esperto sfuggono, comincia a diventare nutrimento per l’innovazione in ambito business.

Analizzare i problemi in maniera convenzionale, infatti, porta al raggiungimento di risultati altrettanto convenzionali, che minano la capacità dell’azienda di sopravvivere in un contesto competitivo come quello di oggi, caratterizzato dalla necessità di innovazione per potersi differenziare.

La necessità di combinare il pensiero analitico con quello creativo crea terreno fertile per lo sviluppo della tecnica di Design Thinking, metodologia basata su un processo iterativo, human-centered, che permette una miglior comprensione del contesto competitivo in cui opera l’azienda, la definizione di nuove opportunità e una loro analisi preventiva per evitare che vengano messe in pratica senza una totale comprensione delle loro potenzialità/debolezze ed evitare un inutile spreco di tempo e denaro.

Uno degli aspetti che valorizza il Design Thinking è la spinta all’apertura della fase di design (ossia di progettazione) ad attori sia interni che esterni dell’organizzazione, andando così ad effettuare in modo più esteso una sorta di “validazione” di un’idea prima che essa venga immessa sul mercato, fornendo sia preziosi feedback che potenziali spunti da chi potrà essere un cliente/utente dell’idea stessa.

Un modello più noto in letteratura che può aiutare la comprensione del processo di Design Thinking è il cosiddetto modello “double-diamond”, sviluppato dal British Design Council nel 2005, che descrive il processo come una serie di quattro fasi principali (scoperta, definizione, sviluppo e distribuzione), basate sulla comprensione di come l’individuo agisce nel suo contesto abituale, l’identificazione di possibili pattern da seguire, la selezione delle idee più potenziali, la prototipazione e il successivo test delle stesse.

All’interno del processo, si alternano momenti di pensiero divergente e convergente: il primo, basato sulla libera produzione di idee mentre il secondo basato sulla selezione delle idee apparentemente più profittevoli, che verranno poi testate nelle fasi finali del processo.

Design Thinking

 

Ad aver testato di persona le potenzialità dell’applicazione del Design Thinking in ambito business, ed in particolare come di strumento strategico alla differenziazione, è NTS S.p.A., azienda italiana specializzata nello stampaggio e assemblaggio di materie termoindurenti e termoplastici.

Il settore di riferimento è un settore saturo, battagliato sul fronte del prezzo e in costante evoluzione. Le aziende che vi operano sono alla continua ricerca di modi per differenziarsi dai concorrenti.

In questo frangente, l’azienda ha collaborato con Innovation-LAB® per poter elaborare una strategia di business che l’aiutasse a mettere in risalto ciò che la caratterizza rispetto agli avversari.

Il punto di partenza iniziale era la proposta dell’azienda stessa di introdurre nel suo portfolio offerta, la possibilità dello Stampaggio 3D con un innovativo sistema, inserendosi in un mercato in forte crescita e così garantendo ai propri clienti maggior flessibilità e velocità nella produzione, anche grazie alla possibilità di una prototipazione preventiva alla commercializzazione.

Le potenzialità della tecnologia non ne nascondono l’onere: acquistare una stampante 3D con quelle caratteristiche tecnologiche rappresenta un forte investimento che un’azienda non è sempre in grado di ammortizzare. Da qui la necessità di una soluzione alternativa o integrativa.

 

Il caso applicativo di NTS S.p.A.

Fatte le premesse precedentemente descritte, l’attività si è delineata in un percorso di cinque giornate, suddivise seguendo le 7 fasi del processo di design thinking ideate da Design Play®: Empathize, Define, Ideate, Prototype, Integrate, Reflection e Design.

Partendo dalla fase di Empathize, ovvero comprensione del contesto, ai partecipanti è stato chiesto di descrivere il loro business, concretizzando i maggiori pain e aspiration.
Sulla base degli stessi, ci si è poi concentrati su una visione red ocean/blue ocean: conoscere e identificare i red ocean (ovvero situazioni in cui l’offerta è satura, dove i partecipanti cercano di erodere piccole quote di mercato) o sviluppare un approccio strategico tale per cui in un blue ocean (situazioni in cui esistono ancora spazi di generazione di valore differenziante).

Proseguendo con la fase di Define, si sono descritti i possibili Superhuman: una versione più estesa e dettagliata delle classiche Personas, focalizzata sui bisogni, stili, aspirazioni degli stakeholders dell’azienda, assieme alla definizione dei differenti impatti che la soluzione potrebbe avere nei loro confronti.

Durante la successiva fase di Ideate, i partecipanti hanno messo in tavola le soluzioni, sulla base dello scenario strategico precedentemente definito. In una prima sessione, la produzione di idee viene lasciata completamente libera; nella seconda e terza sessione, l’utilizzo di tool impiegati normalmente nello storytelling, ha ulteriormente stimolato il pensiero laterale portando a soluzioni meno scontate.
Si è richiesto infine di votare le idee emerse per facilitarne la scrematura, sulla base dei tre pillars del Design Thinking: desirability, viability and feasability, cioè il livello di desiderio da parte del cliente, la profittabilità e la fattibilità in termini di risorse.
Da questa fase, oltre alla già precedentemente teorizzata idea dell’acquisto di una innovativa Stampante 3D, sono emerse nuove soluzioni, tra cui l’utilizzo effettivo del 3D printing tramite partnership con un’azienda in cui già la tecnica era assodata e che avrebbe potuto fornire ai clienti di NTS S.p.A un servizio con maggiore expertise, nonché la creazione di un NTS Lab, cioè un laboratorio per la sperimentazione e la ricerca in ambito 3D Manufacturing.

Passando alla fase di Prototype, sulla base dell’idea principale emersa durante le fasi precedenti, è stata elaborata una bozza del modello di business utilizzando Business Model Canvas, strumento strategico di Business Design che consente di rappresentare visivamente come un’azienda crea, fornisce e acquisisce valore per il proprio cliente, una sorta di mappa che permette di scomporre e semplificare un progetto complesso.

Proseguendo con la fase di Integrate, ci si è concentrati sull’analisi degli impatti su 5 aree strategiche: clienti, individui, organizzazione, design team e mondo esterno. Questa fase, cruciale nonostante la sua apparente semplicità, consente di comprendere realmente quali siano gli impatti derivanti dall’esistenza / sviluppo dell’idea e – soprattutto – quali azioni servano per gestire, limitare o amplificare gli impatti stessi.

Nella fase di Reflection, i partecipanti hanno simulato dei possibili scenari, per ipotizzare come il sistema vi reagisse e cosa si potesse fare per minimizzare l’impatto di scenari negativi o incentivare gli impatti di scenari positivi. Da questa fase, è stato possibile estrarre delle guidelines, (o meglio, dei principi guida) da seguire oggi e che potessero essere utili anche per futuri progetti.

La fase finale del workshop è stata la fase di Design, nella quale è stato chiesto ai singoli membri di utilizzare una Mind-Map per definire gli aspetti maggiormente rilevanti di ogni fase del percorso, estraendone successivamente delle potenziali Actions da mettere in campo nel breve e nel medio periodo.

 

L’intervista a Marco Manzoni

A distanza di circa 3 mesi dall’attività svolta con NTS S.p.A. abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Marco Manzoni, Vice Presidente e Amministratore Delegato dell’azienda per raccogliere spunti e riflessioni rispetto all’esperienza vissuta con il percorso di Design Thinking con l’obiettivo di utilizzare questi contenuti come materiale utilizzato nella redazione della Tesi di Laurea di Eleonora Cairo.

E.C.: Prima dei workshop, era già a conoscenza o aveva già sperimentato tecniche di design thinking? 
Se sì, in che contesti/ambiti?
M.M.: Avevo una conoscenza non molto approfondita, aveva fatto delle attività precedentemente, anche con il Gruppo Giovani Confindustria Bergamo, ma la vera e completa sperimentazione l’ho vissuta con questo percorso.

E.C.: Relativamente al progetto con Innovation-LAB®, quali erano le aspettative derivanti dal processo di Design Thinking?
M.M.: Scoprire e sperimentare un metodo che potenzialmente potesse divenire qualcosa di “nostro”, con allenamento. Avere più chiari i passaggi in modo che, dopo il giusto allenamento, diventi uno strumento utilizzabile. È utile imparare progressivamente un metodo con il quale poter innovare il proprio modello di business.

E.C.:  Quanto, secondo lei, il processo di Design Thinking facilita l’ingaggio e la partecipazione del team?
M.M.: Enormemente. I membri del team rimangono attivamente partecipi poiché sono chiamati in prima persona a dare il loro contributo; a questo aggiungo anche l’attività vera e propria, manuale, che tiene alta la soglia di attenzione e ingaggio. Il tutto, condito con Post-it® e altri tool di creatività.

E.C.: Quali sono state le fasi progettuali? Quale di queste è risultata cruciale / decisiva? Quale invece marginale / evitabile?
M.M.: La parte finale è stata la parte più complessa: la mappa mentale a 7 Aree, in cui si sono ripercorsi i passaggi e per ogni fase sono stati identificati i contenuti più rilevanti. Per ognuno di questi rami portati a casa, abbiamo dovuto definire una action. 

I partecipanti più senior hanno avuto alcune difficoltà ad utilizzare questo tipo di strumento. Non è stata immediata la comprensione di come un problema di partenza avesse portato a soluzioni differenti.
La stessa fase finale, d’altra parte, ha anche creato le maggiori riflessioni, obbligandoci a mettere nero su bianco delle azioni concrete.

E.C.: Quali sono stati gli output finali? Quanto si sono rivelati affini i risultati ottenuti rispetto a quelli desiderati? (al di sotto delle aspettative / al di sopra)?
M.M.: Il workshop era finalizzato all’analisi del 3D manufacturing, ovvero se essa rappresentasse una minaccia o opportunità.
L’aspettativa è stata confermata e ha dato nuovi spunti sul come approcciarvisi (l’idea iniziale era di comprare una stampante 3D, l’idea finale creare una partnership con un’azienda che già ci lavora e lanciare un laboratorio di innovazione sul mondo 3D Manufacturing).
Tante cose viaggiano nella mente di un manager: l’elemento arricchente del workshop è che fornisce un metodo di condivisione di ciò che normalmente sta solo nella mente del manager.

E.C.: A distanza di circa 3 mesi, cosa avete effettivamente realizzato? Vi sono state difficoltà che non avevate previsto relativamente all’implementazione delle idee emerse? Cambiamenti?
M.M.: Come manager ho imparato l’importanza del “visualizzare”: in ufficio, sulla porta, ho allestito una “parete avanzamento di progetti e opportunità commerciali”.
Vedendola quotidianamente in ufficio davanti a me, ho sperimentato l’applicazione tecnica dei contenuti visti nel percorso per monitorare, innovare e controllare di più i progetti, elemento chiave per far continuare la strategia di differenziazione.
Nello specifico, il focus del workshop era valutare la possibilità del 3D manufacturing: dopo il workshop, si è concretizzata la partnership emersa come soluzione durante il progetto.
Rispetto a quanto emerso nel workshop, sono state ad oggi applicate solo una piccola parte delle action del 7 step finali: la maggior parte di queste idee sono complesse da mettere in pratica, quindi conviene periodicamente intervenire tramite il supporto di Facilitatori come voi sull’implementazione di priorità.

E.C.: Come è cambiata la sua visione del business a seguito del progetto? In che misura le tecniche implementate hanno cambiato il modo di affrontare nuovi progetti/ idee?
M.M.: Il workshop ci ha permesso di acquisire un nuovo approccio, rapido e sperimentale, già utilizzato di fronte a nuove opportunità. È una sana abitudine da utilizzare per tutte le novità.
Per esempio, oggi che viviamo l’emergenza COVID-19, abbiamo applicato parte del metodo concentrandoci sulla prototipazione di un nuovo Business Model Canvas.
La sfida principale è far diventare il metodo, che normalmente nello spirito dell’imprenditore è inconscio, consapevole. La sensibilità è già presente nell’imprenditore: il workshop, con l’apprendimento del metodo, ha reso formale ciò che prima era destrutturato.

E.C.: Ritiene che le tecniche di Design Thinking possano essere applicate ad altre tematiche in azienda? Questo approccio metodologico può essere adottato da tutte le tipologie di aziende o sono necessari alcuni requisiti particolari?
M.M.: Un workshop di questo genere è maggiormente sostenibile per attività direzionali e strategiche. L’approccio di Design Thinking è in grado di essere trasversale, quindi alcuni piccoli focus su altre attività. Requisito particolare? Solo la testa dell’imprenditore. Non serve altro.

E.C.: Come paragona il processo e l’approccio utilizzato nel Design Thinking (co-design, contenuti partecipati) con la Consulenza più tradizionale (top-down)? Ha esperienze da condividere in merito?
M.M.: La differenza più evidente è la dimensione del “fare” e non del semplice ascolto e conseguente applicazione. La sperimentazione rimane più insita nella persona; l’obiettivo è che il cliente diventi autonomo, rispetto ad una consulenza più tradizionale.
La sperimentazione consente di far emergere molti contenuti inaspettati e, soprattutto, è il cliente che trova la soluzione da se, se affiancato e stimolato in modo ottimale dal Facilitatore / Consulente.

E.C.: Provi a pensare ad un progetto che ha affrontato con una consulenza tradizionale. 
Ritiene si potesse affrontare anche con tecniche di Design Thinking? Se sì, crede che in quel caso, i risultati sarebbero stati migliori / diversi / analoghi?
M.M.: La parte tecnico-finanziaria va necessariamente affrontata in maniera tradizionale. Ogni strumento ha la sua specificità. La visione dei due metodi deve essere complementare: la parte strategica e di concept può essere affrontata in maniera innovativa e con un percorso di Design Thinking, quella più finanziaria invece la vedo gestibile con metodi più tradizionali; i due metodi si completano.

E.C.: Oltre a ciò che abbiamo precedentemente trattato, c’è qualcosa che vorrebbe aggiungere relativamente alla sua esperienza?
M.M.: Ai fini della corretta applicazione del metodo, è necessario con il cliente andare maggiormente sul contenuto e conoscere gli aspetti su cui ha maggiore difficoltà.
Essendo un “processo”, la sua rigidità può limitarne la comprensione ed è importante essere accompagnati in questo cammino.

 

Possiamo quindi dire che l’obiettivo ultimo di un approccio consulenziale innovativo è di incentivare una partecipazione attiva del cliente, per permettergli di interiorizzare metodi e approcci con il fine di essere poi autonomi, salvo sporadici interventi di aggiornamento e supporto.

Chiudiamo con un prezioso consiglio fornito da Marco nelle ultime battute di questa intervista: “poiché sia compreso a pieno il metodo, è necessario prima focalizzarsi, con il cliente, sul contenuto e sugli aspetti più critici dello stesso. Solo in seguito si può fornire una base teorica del metodo. Essenziale, quindi “far fare al cliente e solo successivamente dare un nome al metodo”.