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Open-Innovation, partiamo dalle basi

Pubblicato il 15/06/2016

E’ da tempo che in molti parlano di “Open Innovation” e, giusto o sbagliato che sia, questo approccio/processo è stato definito in svariati modi. Da chi sostiene che Open Innovation significhi fare innovazione “con le startup” a chi invece sostiene che Open Innovation voglia dire fare innovazione attraverso l’utilizzo di piattaforme di idea-management. Diciamo che c’è molta confusione e, soprattutto, è una parola che ha subito purtroppo un po’ di inflazione.

Partiamo dalle basi e prendiamo come riferimento la definizione fornita da Henry Chesbrough nel 2006:

“Open innovation is a paradigm that assumes that firms can and should use external ideas as well as internal ideas, and internal and external paths to market, as the firms look to advance their technology.”

In sintesi, quindi, quello che ci dice Henry Chesbrough non riguarda né il “dove” accade questo processo (on-line o off-line) né tantomeno specifica la tipologia di competenze o natura che devono avere le risorse (startup? non solo…) che subentrano nel processo di innovazione. Si può quindi affermare serenamente che utilizzare una piattaforma di idea-management è uno dei meccanismi con cui si può sviluppare un progetto di Open Innovation, ma non è il solo e, soprattutto, dipende come viene attivato e gestito.

E’ stato molto probabilmente il mix delle parole “digital”, “startup” e “innovation” che ha generato un grandissimo entusiasmo ma anche confusione e sovrapposizione di definizioni.

Cerchiamo ora di capire che impatto ha questo approccio per le aziende.

Fino a qualche anno fa, l’immaginario collettivo di “innovazione” era rappresentato dal processo tradizionale, in cui il modello l’innovazione era percepito come la chiave di vantaggio competitivo nei confronti delle altre realtà presenti sul mercato. Sicuramente una visione corretta, questo però spingeva le aziende ad un comportamento molto cautelativo, innalzando alte barriere nei confronti dell’esterno. Questo significava possedere in prima persona gli apparati di Ricerca e Sviluppo, generando così quel vantaggio competitivo legato alla ricerca nata e “conservata” tra le mura dell’azienda.

Con il passare del tempo e un severo cambio di paradigma attorno ad esse, le aziende hanno iniziato ad immaginare una “revisione” del concetto di innovazione. Non solo è cambiato il contesto competitivo, ma anche l’approccio stesso al lavoro è mutato e la continua mobilità delle persone porta ad elevati turnover che, a loro volta, causano difficoltà nel riuscire a “trattenere know-how” nelle aziende. Dalle corporate alle PMI, le realtà più smart stanno abbracciando questo filone e ne stanno cogliendo i benefici.

Questo approccio, da un punto di vista puramente teorico, non ha impattato sulla struttura dell’Innovation Funnel che tutti conosciamo (vedasi per esempio questo articolo dell’Università di Cambridge) ma ha impatto sulle diverse fasi dell’Innovation Funnel (vedasi immagine sottostante, rivisitata partendo dal modello proposto da Marketoonist, Tom Fishburne). La possibilità di “aprire i propri confini” consente infatti due macro vantaggi: quantità e creatività.
Banalmente, nel momento in cui decido di coinvolgere nuove risorse, esterne al mio contesto quotidiano, genero una maggiore quantità di input; questo può accadere in una qualsiasi delle fasi del funnel, in funzione delle esigenze. Se desidero lavorare sull’idea generation, coinvolgo un maggior numero di risorse nella fase iniziale del processo; se ho bisogno di avere un consolidamento ed un feedback più mirato, allargo la platea nella fase di concept/definition; laddove la necessità sia quella di consolidare l’idea e trasformarla in progetto, cercherò di circondarmi di risorse con skill maggiori e più verticali e infine, qualora l’obiettivo sia quello di fruire di questo beneficio nella fase finale del funnel (quello di sviluppo concreto), coinvolgerò risorse sempre più verticali e competenti rispetto a ciò che si sta sviluppando.

 

In aggiunta all’aspetto “quantitativo”, il medesimo ragionamento vale sull’impatto di creatività che posso generare; in questo caso l’obiettivo è quello di progettare la community di “innovatori” in modo più eterogeneo possibile, così che si possa godere di un contagio ed un’attivazione del cosiddetto “pensiero laterale” (lateral thinking).

Guardando ora tutto questo un punto di vista “operativo”, come si può riuscire a sviluppare un progetto di Open-Innovation? La risposta ovviamente non è immediata e, soprattutto, non è standard; vi sono però delle considerazioni più generali che si possono condividere iniziando da una prima grande divisione: on-line e off-line.

ON-LINE

E’ il meccanismo di Open Innovation che sembra abbia avuto più diffusione, grazie ovviamente alla natura scalabile del meccanismo “on-line” e alla possibilità di ricevere input e contributi da un elevato numero di soggetti. Sono in estrema sintesi 2 le tipologie di attività di Open Innovation che si possono sviluppare attraverso l’utilizzo dei canali digitali: i contest on line e l’utilizzo di piattaforme verticali di Idea Management.

Piattaforme di Idea Management
E’ la metodologia più diffusa per lo sviluppo di progetti di Open Innovation all’interno di aziende di medie e grandi dimensioni; si tratta di piattaforme web attraverso le quali è possibile gestire i diversi step dell’Innovation Funnel, dall’ideazione sino allo sviluppo.
Esistono diversi tool on line che offrono questo tipo di soluzione e ad oggi i più strutturati e diffusi risultano essere Spigit, IdeaScale, Innovation Cast e Kindling.
Kindling stessa, per spiegare ai propri potenziali clienti “cosa sia” una piattaforma di Idea Management ha pubblicato un video molto semplice ma molto esemplificativo:

Il meccanismo con cui funzionano queste piattaforme (spiegato in modo molto esemplificato) prevede una sequenza di passaggi abbastanza delineati:
1) lancio della “challenge”: è la richiesta che si pone ai partecipanti. E’ importante progettare la challenge in modo accurato per evitare che sia troppo generica (es: come miglioreresti l’esperienza del nostro cliente?) o troppo verticale (es: domande troppo tecniche o estremamente focalizzate su una caratteristica di prodotto/servizio)

2) selezione e ingaggio della community: è il passaggio iniziale di selezione dei partecipanti (es: solo un dipartimento nell’azienda, tutta l’azienda, l’azienda e i clienti, etc.) e attivazione degli stessi. Lanciare una piattaforma di Idea Management e immaginare che si auto-alimenti è molto rischioso; è fondamentale un’ottima attività di community management per garantire che i partecipanti continuino a popolare la piattaforma con idee/commenti/spunti

3) valutazione e arricchimento delle idee: è il processo più duraturo sulla piattaforma ed è la fase in cui avviene la vera attività di co-desing e di collaboration. Le idee vengono votate, commentate e, a fronte di commenti molto interessanti (i “building block”, per alcune piattaforme) , modificate in funzione appunto di quanto raccolto

4) team-building: mano a mano che le idee prendono forma e le persone contribuiscono, quello che si deve generare è una sorta di “team di riferimento” di quella determinata idea; il team è solitamente composto dall’ideatore (colui che ha presentato l’idea) e i partecipanti che hanno contribuito in modo sostanziale

5) sviluppo: la parte finale dell’idea riguarda il suo sviluppo. Il team di riferimento sarà quindi chiamato a portare avanti il progetto relativo all’idea presentata (tutto ciò funziona molto bene se vi sono MBO correlati) e trasformare concretamente questa idea, con il supporto non solo del team stesso ma, a questo punto, di altre risorse che può mettere in campo l’azienda. Uno strumento molto utile in questa fase di progettazione è il Business Model Canvas (trattato in questo articolo), che aiuta i partecipanti a strutturare e mappare in modo sintetico e visuale ciò che stanno sviluppando.

Molte aziende hanno abbracciato queste metodologia e questi strumenti; alcune lo hanno fatto solamente con una dimensione interna (quindi solo per i dipendenti) e una di queste, per esempio è Banca Mediolanum, dove accenna solo brevemente a questo progetto in questa sezione del loro sito istituzionale. Altre aziende invece hanno “aperto” l’accesso alla propria piattaforma anche ad utenti esterni; Magneti Marelli, con il progetto LapTime Club ne è un valido esempio: nel loro caso, chiunque (previa registrazione) può contribuire per lo sviluppo di un loro prodotto specifico di telemetria dedicato al B2C.

Contest on-line
Laddove invece le aziende non vogliano dotarsi (almeno nei confronti dell’esterno) di un tool di Idea Management, possono in realtà “aggirare” il meccanismo attraverso dei contest on-line; significa cioè realizzare una piattaforma molto semplice (banalmente dei campi da compilare e degli allegati da caricare) dove chiunque possa accedere e dare il proprio contributo.
Alla domanda “perché mai dovrei dare un contributo all’azienda X?” la risposta è molto semplice: chi partecipa (e tendenzialmente chi vince, cioè chi propone la soluzione più interessante) viene premiato secondo i più svariati meccanismi.
Sicuramente si tratta di una soluzione più “economica” (non vi sono particolari costi di piattaforma) ma indubbiamente meno interattiva: nessuno può contribuire e confrontarsi con nessun altro. Di questi esempi se ne possono trovare davvero molti in rete, come per esempio Fluevog, che con la loro iniziativa “Open Source Footware” hanno chiesto, a chi volesse partecipare, di utilizzare questo spazio per poter proporsi come potenziali designer delle loro nuove collezioni.

OFF-LINE

Come detto in precedenza, il meccanismo di Open Innovation attraverso strumenti web non è il solo che si può adottare; esiste infatti un filone di innovazione dedicato al mondo off-line.
Il meccanismo e la dinamica è la medesima: si definisce un brief (una challenge), si comprende quale possa essere la community partecipante e si lavora per organizzare la “logistica” in grado di far funzionare in modo ottimale il processo di Open Innovation.
Come per le soluzioni on line, anche in questo caso non vi è solo un meccanismo ma esistono diversi format di lavoro, differenziati tra di loro per obiettivi, durate e tipologia di partecipanti.
Hackaton
Meglio noti come “hack”, gli hackaton sono eventi che hanno sempre una durata abbastanza lunga (24h non stop, solitamente) e che per loro origine sono sempre stati molto verticali sul tema del digital e dello sviluppo software.
Il meccanismo di un hack è molto simile a quanto detto in precedenza (brief – lancio della challenge – generazione di idee – arricchimento delle idee e co-design – sviluppo) ma concentrato nel tempo e con una modalità di “competizione”; l’obiettivo è generare in un tempo limitato un’output che possa essere valorizzato e valutato da una giuria che poi andrà a premiare coloro che hanno proposto l’idea ed il concept di progetto migliore.
Negli hack più partecipati (in Italia), si arriva a raccogliere un numero di iscritti pari 350-400 persone, ma sono eventi abbastanza rari. Solitamente si può organizzare un buon hack coinvolgendo 100-150 partecipanti; la vera sfida è riuscire a raccogliere tutte queste persone in modo ben organizzato al fine di ingaggiare competenze variegate in grado quindi di formare team eterogenei in grado di lavorare sulle idee sia da un punto di vista tecnico che da un punto di vista business.
Le finalità di un hackaton sono principalmente quelle di generare nuove idee e sviluppare dei concept di prodotti digitali in pochissimo tempo.

Open-Innovation Workshop

Rispetto agli hackaton, i workshop di Open Innovation hanno una durata molto più limitata (4 – 8 ore al massimo) ed i brief sono molto più specifici e non forzatamente legati allo sviluppo di un concept di App o servizio web.
Si tratta quindi di eventi con un numero sensibilmente minore di partecipanti rispetto ad un hack (al più 80-100 persone) ma nei confronti dei quali viene fatta una selezione molto più accurata in termini di competenze e ruoli. Questo poiché questi stessi partecipanti dovranno riuscire a rispondere a brief non sempre semplici e in tempi molto ristretti.
Un’azienda sceglie di sviluppare un Open-Innovation Workshop con l’obiettivo di raccogliere la maggiore quantità di valore nel minor tempo possibile, grazie al coinvolgimento di risorse mirate; questo significa comprimere in un ben determinato frangente temporale un processo di idea generation e prima validazione da parte di risorse con particolari skill utili in quel preciso momento allo sviluppo di un determinato progetto/prodotto/servizio.

Crowd-Crafting
Si tratta di un modello molto simile a quello descritto in precedenza, ma rispetto ad un Open Innovation Workshop, una sessione di Crowd-Collaboration ha maggiore valore quando le risorse coinvolte non presentano skill particolarmente verticali ma rappresentano invece una sorta di “campione” del mio possibile target di clientela o comunque sono molto vicini ad esso.
Si tratta di momenti in cui il valore deriva proprio dal concetto di “crowd” e cioè di “folla”, di insieme di profili statisticamente differenti tra loro che però, per i motivi più svariati possono portare valore, idee, spunti e feedback.
In molti confondono il Crowd-Crafting con il Crowd-Funding; in realtà le due cose sono sensibilmente differenti. Il Crowd-Funding rappresenta il meccanismo per cui si ricerca supporto tra il “crowd” per la raccolta di fondi, finalizzati alla realizzazione di un determinato progetto; il Crowd-Crafting si differenzia poiché ricerco supporto dal “crowd” non per una raccolta fondi, ma per raccogliere vera e propria operatività (non si parla di volontariato, ovviamente) e supporto diretto nella realizzazione di un determinato progetto in modo collettivo.
Si tratta tipicamente di progetti molto validi per il mondo B2C e ad oggi non sono in realtà molti gli esempi che si possono trovare; uno di questi è però molto interessante ed è il caso di BertO, un’azienda artigiana (realizza e commercializza divani, letti e poltrone) che ha in realtà effettuato un mix molto intelligente di diversi strumenti. E’ un’azienda decisamente innovativa che ha sviluppato più progetti in Italia e all’estero basandosi su questo approccio e qui potete trovare i loro articoli.
Avendo avuto la fortuna di partecipare al loro primo progetto di Crowd-Crafting (#divanoXmanagua), ho inoltre deciso di pubblicare anche questo breve articolo scritto intervistando direttamente Filippo Berto.

Se desideri scambiare pareri o avere approfondimenti in merito al tema della Open Innovation, non esitare nel contattami, è più facile di quanto credi…basta un CLICK!

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