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LEGO Serious Play: cosa è, come funziona

Pubblicato il 27/07/2016

Da tempo studio questo strumento e conduco workshop utilizzando questa metodologia; dal 2014 ad oggi, grazie a queste esperienze, ho sempre più compreso quanto questo tool sia un “facilitatore” rispetto a molte variabili strategiche aziendali.

Partiamo dall’inizio, dal concetto di “SERIOUS PLAY®“; questo termine è stato introdotto per la prima volta in modo strutturato da Michael Schrage quando, nel 2000, decide di approfondire una serie di studi e scrive uno dei “testi sacri” relativi a questa metodologia: Serious Play: How the World’s Best Companies Simulate to Innovate. Una sintesi estrema del suo pensiero è racchiusa in questa sua frase

“You can’t be a serious innovator unless and until you are ready, willing, and able to seriously play.
Serious Play’ is not an oxymoron; it is the essence of innovation”

In prima battuta, infatti, SERIOUS PLAY® può sembrare un ossimoro ma è in realtà proprio questa duplice natura che rende così potente questo strumento di problem solving, creatività, facilitazione e innovazione.
Una duplice natura che sembra quasi paradossale: da una parte la natura “improvvisata e libera” del gioco, e dall’altra parte le “regole” del gioco stesso, tanto rigide quanto modificabili nel tempo (ciò accade quando, nel gioco, uno dei due vince troppo facilmente).
Dalla sua nascita ad oggi, l’approccio SERIOUS PLAY® ha raccolto interesse sempre crescente e questo è confermato anche dalle molte attività di ricerca e pubblicazioni in ambito accademico in merito a questo tema; il sociologo David Gauntlett spiega anche un ulteriore aspetto molto importante della dinamica di gioco, cioè che nell’ambiente ludico, che per sua natura è privo del concetto di giudizio, è molto più probabile assistere alla nascita di idee innovative e sorprendenti.
Questo accade grazie al fatto che il “lavorare in modo playful” stimola la creatività e lo sviluppo di soluzioni creative poiché il meccanismo che si genera nelle persone è quello di agire in modo più spontaneo, andando ad abbattere molte delle proprie barriere psicologiche. Esistono addirittura aziende che di questo approccio ne ha fatto una filosofia, portando l’aspetto di “gioco” anche nelle loro strutture e nel quotidiano, come per esempio Google (foto di David Aschkenas) e altre aziende che hanno fatto dell’innovazione il proprio DNA.

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GLI INIZI DI LEGO® SERIOUS PLAY®

Ora concentriamoci però su LEGO® SERIOUS PLAY® (LSP) e partiamo dalla sua definizione, fornita direttamente da LEGO®:

The LEGO® SERIOUS PLAY® method is a facilitated meeting, communication and problem-solving process in which participants are led through a series of questions, probing deeper and deeper into the subject.

Questa definizione è il frutto di un percorso che è iniziato a metà degli anni ’90, quando Johan Roos e Bart Victor (due professori universitari presso IMD Business School di Losanna, Svizzera) iniziarono a studiare nuovi meccanismi in grado di supportare le decisioni strategiche all’interno delle aziende.
I due docenti, dopo diversi confronti con Kirk Kristiansen (CEO dell’azienda e componente della famiglia fondatrice) arrivarono ad affermare due punti chiave che da quel momento rappresentarono la linea guida di pensiero:
– le persone sono la chiave di successo di un’azienda e devono avere la possibilità di esprimersi al meglio
– la strategia è un qualcosa che vivi, non qualcosa che puoi circoscrivere in un documento

Entrambi questi aspetti, purtroppo, si scoprì che nelle aziende erano spesso disattesi poiché (in primis) la strategia non veniva “vissuta” e le persone non stavano esercitando il loro massimo potenziale. I due ricercatori furono così spronati da Kristiansen nell’approfondire lo studio di una metodologia che utilizzasse i mattoncini LEGO® (bricks) al posto dei più classici strumenti in uso quali documenti, post-it® e lavagne.
Questo è stato il percorso che, alla fine del 2001, ha portato alla nascita della metodologia LSP, inizialmente testata all’interno di LEGO® (con Roos e Victor) e poi diffusa all’esterno con diverse evoluzioni avvenute grazie all’ingresso nel team di Robert Rasmussen e Per Kristiansen, ritenuti i due “padri” di questa metodologia nel mondo business, nonché autori di uno dei libri più autorevoli in merito a LSP: Building a Better Business Using the Lego Serious Play Method (qui il link ad Amazon).

I CONCETTI BASE

Riprendendo il principio base sviluppato da Roos, Victor e Rasmussen, LEGO® SERIOUS PLAY® è un metodo nato per permettere ai manager di descrivere, creare e testare un determinato “business concept”, rientrando in quell’insieme di metodi di “exploration & innovation” utilizzati per risolvere problemi più o meno complessi inerenti a tematiche di business (LSP non è l’unico metodo: role-game, gamification in generale e low-fidelity prototyping ne sono altri validi esempi).
Il motivo per cui l’utilizzo dei bricks renda tutto così “immediato” è molto legato anche alla nostra infanzia, in cui la creatività e la manualità rappresentavano il fulcro del gioco; da adulti, infatti, a confronto di un workshop in cui la creatività è richiesta attraverso l’utilizzo di un pennarello ed un post-it, con i mattoncini tutto diventa più rapido e meno vincolato ai preconcetti che tipicamente accompagnano il nostro quotidiano.

LEGO SERIOUS PLAY

LEGO® SERIOUS PLAY® permette quindi di raggiungere un elevato engagement delle persone e questo permette di trasformare i classici business-meeting “mono direzionali” (cioè nei quali tipicamente il 20% delle persone parla e l’80% delle persone ascolta, senza interagire) in un esperienza diversa e più “democratica” in cui tutti hanno a disposizione tempo per esporre le proprie idee, raccontare la propria “storia” e dare il proprio contributo.

Tutto ciò avviene NON ovviamente attraverso un “pomeriggio di team building in cui si gioca con i mattoncini lego per passare una giornata diversa dal solito” (una delle tante “interpretazioni errate” di LSP che ho trovato in rete tempo fa, purtroppo) ma accade grazie ad un processo ben definito e noto come “Core Process”, che si compone di queste 4 fasi:

Core Process

Il lancio della challenge corrisponde ad una domanda, specifica e pre-progettata, che viene posta dal facilitatore. E’ una domanda a cui tutti i partecipanti, in ugual modo, dovranno rispondere; in questo meccanismo di workshop non esiste infatti colui che rimane in disparte o colui che non da il proprio contributo.

A seguito di questa richiesta, nota a tutti e condivisa, i partecipanti iniziano a costruire un modello, il loro modello, la loro “risposta” alla challenge fornita. In questa fase il ruolo del facilitatore è tanto importante quanto delicato, infatti egli non deve in alcun modo interferire sulla costruzione dal punto di vista del “significato” ma deve solo eventualmente fornire indicazioni tecnico/costruttive laddove il partecipante abbia difficoltà a rappresentare un determinato concetto.
Questo aspetto spesso viene superato grazie alla bravura del facilitatore nel far sfruttare ai partecipanti uno dei principi chiave di un workshop LSP e cioè la metafora; non è infatti importante che il modello “rappresenti visivamente” un determinato oggetto in tridimensionale, ma sarà di rilievo il significato che il costruttore stesso da a quel determinato modello.
Proviamo a fare un esempio: nell’immagine che vede qui sotto, cosa possono rappresentare i mattoncini rossi che si trovano nella parte bassa del modello?

Esempio LSP

Al primo colpo d’occhio, potrebbe sembrare un molo da cui è appena salpato un canotto e quei mattoncini potrebbero essere delle boe o potrebbero essere degli scogli. In realtà quello che vedete rappresentato non è un molo e i mattoncini rossi non sono né boe né scogli ma sono ciò che l’autore di questo modello ha voluto che fossero: rappresentano potenziali nuovi collaboratori da poter ingaggiare per far fronte a nuovi e importanti progetti.
Questo esempio fa capire come la metafora rappresenti uno dei fattori di creatività e “costruzionismo” che il metodo LEGO® SERIOUS PLAY® riesce a far emergere.

Conclusa la fase di costruzione del modello (che tipicamente ha una durata di tempo non troppo lunga), ogni singolo partecipante racconta la storia del proprio modello:  è in questo momento che i modelli prendono “forma”, che ogni singolo mattoncino o accessorio viene caratterizzato da ciò che il partecipante ha ideato.
E’ una fase molto importante poiché permette a tutti di portare valore, dare contributo e vivere un meeting in cui non vi sia il classico approccio “20-80” (vd sopra) ma sia in vigore una sorta di “ascolto democratico” in cui tutti possono essere protagonisti di know-how o soluzioni.
Per questo motivo si spiega sempre che un workshop LSP evidenzia il fatto che in azienda “ci siano manager coraggiosi” (Robert Rasmussen, Building a Better Business Using the Lego Serious Play Method) capaci di accettare che:
– i leader/manager non hanno tutte le risposte
– i leader/manager sono disposti ad accettare spunti, soluzioni e proposte dai loro collaboratori

A questi due punti, si aggiungono poi gli altri “cardini” della metodologia LEGO® SERIOUS PLAY®:
– le perone sono naturalmente spinte al voler far parte di qualcosa di più grande e “possederlo”
– troppo spesso, i team lavorano in modo non ottimale poiché non sfruttano a pieno la conoscenza di tutti i membri del team
– viviamo in un mondo che ci consente di contribuire e scandire i nostri risultati creando un business più sostenibile.

L’ultima fase, a valle dello storytelling effettuato da tutti i partecipanti, è la condivisione ed i commenti dell’insieme dei contributi di tutti; si raccolgono infatti le reazione dei vari partecipanti alle diverse “risposte” avvenute durante la fase di costruzione e si raccolgono spunti e “next-step” in modo condiviso e consapevole.
In alcuni casi, a seconda dell’applicazione, è anche possibile effettuare un’unico modello (landscape) costituito dall’unione dei diversi modelli costruiti da tutti, così da avere un oggettivo e tangibile scenario condiviso e “co-costruito” da tutti.

LE REGOLE DA TENERE A MENTE

Come detto all’inizio, ogni gioco ha le sue regole e anche LSP ha un suo set di norme che vanno rispettate (e che il facilitatore fa sì che vengano rispettate).
Sono regole semplici e facilmente sintetizzabili:
– il modello costruito dal partecipante è la sua personale risposta alla challenge
– non esistono risposte sbagliate
– non esiste una risposta corretta, tutti hanno diversi punti di vista, tutti corretti
– ciò che conta, non è quello che ”sembra” il modello, ma la sua storia, raccontata e condivisa
– il racconto e il significato attribuito a ciascun modello è ciò che genera valore

Il compito di farle rispettare, come detto, è responsabilità del facilitatore che conduce il Workshop; su questo tema particolare si apre spesso un dibattito: il facilitatore deve essere certificato?
La domanda sorge spontanea poiché da qualche anno LEGO® ha reso open-source il metodo e (diversamente rispetto a quanto accadeva in passato) ha aperto alla vendita a chiunque i set LSP concedendo quindi a chiunque di poter acquistare i kit e, potenzialmente, di utilizzare questa metodologia.

Per quanto mi riguarda, dopo due anni (di cui uno di solo studio e test) di conoscenza e applicazione della metodologia ho deciso di investire nel mio know-how e seguire il corso tenuto direttamente da Robert Rasmussen per ottenere la certificazione europea riconosciuta dalla “Association of Master Trainers in the LEGO® SERIOUS PLAY® Method“.

QUANDO HA SENSO SCEGLIERE DI LAVORARE CON LA METODOLOGIA LEGO® SERIOUS PLAY®

Come prima cosa, per capire se abbia senso utilizzare questa metodologia, va chiarito cosa NON è LEGO® SERIOUS PLAY® (in tanti purtroppo scambiano il “passare un pomeriggio in ufficio con i LEGO®” con un workshop LSP):
– non è uno strumento per fare 3d design; lo si può fare con i lego, ma non è LSP
– non è uno strumento per simulare e spiegare la lean manufacturing; lo si può fare con i lego, ma non è LSP
– non è uno strumento di visual planning; lo si può fare con i lego, ma non è LSP
– non è un meccanismo di comunicazione persuasiva
– non è “un modo simpatico” per gestire i meeting

Chiarito questo primo punto, un workshop LSP si organizza quando:
– si desidera avere diverse risposte da ogni membro di un team o da ogni partecipante
– tutti i partecipanti sono interessati rispetto al tema oggetto del workshop
– è importante che tutti partecipino alle discussioni in azienda
– si desidera incrementare la consapevolezza all’interno di un team e, allo stesso tempo, evitare frustrazioni
– si intende utilizzare il tempo in modo efficiente ed avere tutti i partecipanti motivati
– si desidera innescare meccanismi di innovazione e stimolare il pensiero creativo
– si vogliono affrontare temi complessi e difficili in un clima costruttivo
– è importante che i partecipanti possano esporre il loro pensiero senza essere intimiditi o intimidire altri
– si vuole eliminare in modo costruttivo la routine in cui i meeting prevedono pochi partecipanti attivi e molti passivi
– si ha a che fare con un gruppo di lavoro che ha la sensazione che i meeting siano una perdita di tempo
– si desidera creare condizioni di discussione democratica e paritaria
– è importante che il gruppo di lavoro trovi una soluzione ad un problema che loro possano sviluppare e in cui credano
– le riunioni o gli eventi di formazione tendono a concentrarsi maggiormente su chi veicola il messaggio, rispetto che al messaggio stesso.

Di scenari, come si vede dall’elenco, ve ne sono davvero tanti e le potenzialità di questo strumento sono tangibili sia che si parli di real-time strategy, di problem solving o di team building; in funzione di uno o più di questi scenari, si utilizza una delle 7 diverse “Application Technique” che il metodo mette a disposizione (dalla costruzione di modelli individuali sino alla costruzione di sistemi complessi).

COSA SERVE PER ORGANIZZARE UN WORKSHOP LEGO® SERIOUS PLAY®

Le basi, seppur con un volo di altissimo livello e da molto lontano, le abbiamo raccolte e sappiamo quindi che cosa sia questo metodo, quando si utilizzi e con quali finalità.
Veniamo ora alla “ricetta” e cioè che cosa serve per poter organizzare un workshop LSP:
– persone: come in tutti i workshop, i partecipanti sono il cuore dell’evento stesso; dovendo utilizzare i bricks, spesso mi viene chiesto “ma io non so costruire, come faccio?”…sebbene possa sembrare strano, essere un “master builder” non influenza il risultato del lavoro svolto, anzi. Avere poca esperienza di costruzione aiuta a stressare maggiormente il concetto di “metafora”. Per quanto riguarda il numero di partecipanti, non esiste formalmente un limite, si organizzano anche workshop con più di cento partecipanti; la variabile è dettata dal numero di facilitatori, infatti il numero massimo di persone che può coordinare un facilitatore sono circa 15

– challenge: secondo quanto descritto dal “core process”, la challenge è il punto di partenza di un workshop LSP e rappresenta la “domanda a cui tutti devono dare una risposta”. Una delle variabili più importanti da impostare quando si pone la challenge è il tempo: non deve essere né troppo breve (poco tempo per far evolvere il modello durante la fase di costruzione) né troppo lungo (troppo tempo rischia di far scattare meccanismi di barriera e, soprattutto, di ridurre la fase di “flow”)

– bricks: indubbiamente bricks LEGO®, minifigure (omini, tanto per capirci), accessori e molto altro compongono la parte “pratica” del workshop. I set ufficiali LEGO® SERIOUS PLAY®, come detto in precedenza, sono disponibili da tempo sullo shop on line di lego (qui i link) e, facendo qualche rapida somma, si capisce come un kit base di un facilitatore si aggiri attorno ai 1.300€ (kit con cui è possibile condurre workshop per massimo 10-12 persone)

– logistica adeguata: sembra una banalità, ma è importante che lo spazio in cui si desidera organizzare un workshop LSP sia adeguato alle esigenze; serve infatti un ambiente luminoso con uno o più tavoli in cui i partecipanti possano dapprima lavorare in autonomia e poi (in funzione della tipologia di workshop) lavorare in gruppo.

– facilitatore: è l’attore non protagonista del workshop, colui che in modo “invisibile” deve permettere ai partecipanti di arrivare all’obiettivo prefissato. Come anticipato, l’approccio “open source” che LEGO® ha dato lascia pensare che chiunque possa studiare e applicare questa metodologia ma, vista la complessità e la potenza del tool, il workshop deve essere affidato ad un facilitatore certificato.

Come ultimo aspetto, “serve” anche una sana dose di curiosità e voglia di essere concreti, rapidi e innovatori…questi sono gli ingredienti che io mi sento di aggiungere alla “ricetta classica”.

Se oltre a questo, vuoi leggere alcune case history scritte da Daniele Radici per Ninja Marketing, qui trovi i link all’articolo.

Se sei curioso e vorresti approfondire la conoscenza di LEGO® SERIOUS PLAY®, non esitare nel contattarmi, è più facile di quanto credi…basta un CLICK!
© daniele radici